PopCorn a tutti!
Vi è mai capitato di vedere uno di quei film traboccante di differenti tematiche e numerose metafore? Uno di quei film che, finito, vi lascia un sentimento predominante contornato da mille quesiti sociali ed esistenziali?
“Le Invasioni Barbariche” è proprio una pellicola di questo genere che in 112 minuti amalgama di tutto e di più.
Ma non dobbiamo temere quando siamo spettatori di un simile lungometraggio; non dobbiamo pretendere di essere critici cinematografici, acuti filosofi o improvvisati psicologi.
Il mio consiglio è di dare spazio all’emozione che ci ha coinvolti di più e legarla al ricordo di questo film.
Se farete delle ricerche scoprirete che quest’opera cinematografica è stata degna di numerosi premi tra cui l’Oscar come miglior film straniero; scoprirete quanti temi sociali si districano nella storia a cui forse non avevate nemmeno fatto caso.
Beh, io scrivo per semplificarvi un po’ l’esistenza, cercando di vivere il grande schermo come un comune spettatore che di fronte ad un’opera si ferma ad osservare e attende il primo cenno di emozione.
E’ una storia che ci fa capire quanto è contorto e contradditorio il mondo in cui viviamo.
Il personaggio principale è un professore di storia che scopre un giorno di essere malato di tumore. Speranze di guarire non ve ne sono, tutt’altro; davanti a lui si prospetta un cammino di atroci sofferenze.
In suo aiuto accorre il figlio con cui non ha mai avuto buoni rapporti a causa delle scelte di vita orientate verso uno stile nettamente capitalista.
L’assurdità è che sarà proprio il figlio, grazie alle sue agiate possibilità economiche, ad alleviare dal dolore gli ultimi giorni di vita del padre, e a portare al suo capezzale i suoi più cari amici.
Non voglio rivelarvi ogni momento del film ma darvi solo qualche dritta quando lo guarderete e se lo guarderete.
Fate molta attenzione ai dialoghi e a come, ad un certo punto, di fronte all’inevitabile morte, ideologie, religioni, modus vivendi e ogni genere di appartenenza intellettuale si annullino, non abbiano più importanza. Ciò che conta è il momento, l’attimo, ciò che si vedrà prima di chiudere gli occhi per sempre.
Altro grosso tema è quello dell’eutanasia che in questo caso va interpretata metaforicamente come un’arresa della società al capitalismo che ci ha portati a contare solo sul denaro che possediamo e ad impigrirci davanti a qualsiasi difficoltà.
Insomma, nel complesso credo che questo film voglia essere una raffigurazione della società odierna utilizzando come simbolo il male più grande che ha colpito la nostra collettività ovvero il tumore; e il capitalismo qui è inteso proprio come un tumore che avanza inesorabilmente divorando qualsiasi dottrina. Il finale non è positivo perché la società sfoggia bandiera bianca e barcollando si avvia verso un luogo apparentemente felice in cui trovare la pace.
Curiosità: Il regista Denys Arcand esprime chiaramente le sue ideologie…altro film da lui diretto è “Il declino dell’impero americano”