Biografia di Fabrizio De Andre’
Written by Administrator on January 7, 2009
Fabrizio Cristiano De André nacque il 18 febbraio 1940 nel quartiere genovese di Pegli, in via De Nicolay 12 (ove è stata posta una piccola targa commemorativa) da una famiglia dell’alta borghesia industriale cittadina. Il padre Giuseppe fu vicesindaco di Genova, amministratore delegato dell’Eridania e promosse la costruzione della Fiera del Mare di Genova, nel quartiere della Foce.
Fabrizio crebbe inizialmente nella campagna astigiana, luogo dal quale la famiglia era originaria e dove si dovette trasferire a causa degli eventi bellici. Visse, poi, nella Genova del dopoguerra, scossa e partecipe della contrapposizione tra cattolici e comunisti, sovente rigidi e bigotti entrambi.
Dopo aver frequentato le scuole elementari in un istituto privato retto da suore, passò alla scuola statale, dove il suo comportamento “fuori dagli schemi” gli impedì una pacifica convivenza con le persone che vi trovò, in special modo con i professori. Per questo fu trasferito nella severa scuola dei Gesuiti dell’Arecco.
Presso i Gesuiti dell’Arecco, scuola media inferiore frequentata dai rampolli della “Genova-bene”, Fabrizio fu vittima, nel corso del primo anno di frequenza, di un tentativo di molestia sessuale da parte di un gesuita dell’istituto; nonostante l’età, la reazione verso il “padre spirituale” fu pronta e, soprattutto, chiassosa, irriverente e prolungata, tanto da indurre la direzione ad espellere il giovane De André, nel tentativo di placare lo scandalo. L’improvvido espediente si rivelò vano poiché, a causa del provvedimento d’espulsione, l’episodio venne a conoscenza del padre di Fabrizio, esponente della Resistenza e vicesindaco di Genova, che informò il Provveditore agli studi, pretendendo un’immediata inchiesta che terminò con l’allontanamento dall’istituto scolastico del gesuita.
In seguito il cantautore frequentò alcuni corsi di lettere e altri di medicina presso l’Università di Genova prima di scegliere la facoltà di Giurisprudenza, ispirato dal padre e dal fratello Mauro. A sei esami dalla laurea decise di intraprendere una strada diversa: la musica (suo fratello sarebbe divenuto uno dei suoi fan più fedeli e critici).
Successivamente ad un primo e problematico approccio, determinato dalla decisione dei genitori di avviarlo allo studio del violino, il folgorante incontro con la musica avvenne con l’ascolto di Brassens, del quale De André tradurrà alcune canzoni, inserendole nei primi album. La passione, poi, aveva preso corpo anche grazie all’assidua frequentazione degli amici Tenco, Bindi, Paoli ed altri, con cui iniziò a suonare e cantare nel locale “La borsa di Arlecchino”.
De André, in questi anni, ebbe una vita sregolata ed in contrasto con le consuetudini della sua famiglia, frequentando amici di tutte le estrazioni culturali e sociali. Sovente, con l’amico d’infanzia Paolo Villaggio, cercava di sbarcare il lunario con lavori saltuari, anche imbarcandosi, d’estate, sulle navi da crociera come musicista per le feste di bordo.
La prima moglie di De André fu una ragazza di famiglia borghese, Enrica Rignon detta “Puny”, con cui concepì il figlio Cristiano e dalla quale si separò a metà degli anni ’70.
In seguito al matrimonio e alla nascita del figlio, Fabrizio fu pressato dalla necessità di provvedere al mantenimento della famiglia e, visti gli scarsi introiti dalla sua attività musicale, meditò di abbandonarla per terminare gli studi e trovare un serio impiego. Fortunatamente, giunse inaspettato il successo de “La canzone di Marinella”, interpretata da Mina, i cui proventi migliorarono notevolmente la situazione economica familiare.
I testi del cantautore, che toccano spesso argomenti religiosi, sono improntati ad una personale e disincantata visione della vicenda cristiana e, a tratti, da una intuibile spiritualità, tuttavia non riconducibili ad una definibile professione di fede.
Nei brani come “Spiritual”, “Si chiamava Gesù”, “Preghiera in gennaio” e nel concept album “La buona novella”, la figura di Cristo viene spogliata dell’essenza divina per assumere, quasi in una dimensione crociana, tutta la sua forza rivoluzionaria in favore degli ultimi.
L’atteggiamento tenuto da Fabrizio nei confronti dell’uso politico della religione e delle gerarchie ecclesiastiche è spesso sarcastico e fortemente critico nel contestarne i comportamenti contraddittori, come, ad esempio, nelle canzoni “Un blasfemo”, “Il testamento di Tito”, “La ballata del Miche’ “.
Ad ottobre del 1961[5] la Karim pubblica il suo primo 45 giri, con copertina standard forata (la ristampa del 1971 della Roman Record avrà invece una copertina curata dalla pittrice genovese Loris Ferrari, amica di Fabrizio). Il disco contiene due brani, Nuvole barocche ed E fu la notte.
Nel 1962 il cantautore sostenne l’esame di ammissione come compositore alla SIAE di Roma per poter depositare a proprio nome le canzoni; nel 1997, durante la consegna del Premio Lunezia, confessò di aver utilizzato una buona parte della poesia Le foglie morte di Jacques Prévert nel testo dell’esame.
Negli anni successivi De André andò affermandosi sempre più come personaggio riservato e musicista colto, abile nel condensare nelle proprie opere varie tendenze ed ispirazioni: le atmosfere degli storici cantautori francesi, tematiche sociali trattate sia con crudezza sia con metafore poetiche, tradizioni musicali di alcune regioni italiane, sonorità di ampio respiro internazionale e l’utilizzo di un linguaggio inconfondibile e, al tempo stesso, semplice per essere alla portata di tutti.
In questo periodo uscirono i suoi primi 33 giri. La sua discografia non è numerosissima come, del resto, inesistenti fino al 1975 erano i suoi concerti. L’album del debutto è Tutto Fabrizio De André (1966, ristampato due anni dopo con il titolo di La canzone di Marinella sotto un’altra etichetta e riportando una diversa copertina), una raccolta di alcune delle canzoni che sino ad allora erano state edite solo in 45 giri, seguita da Volume I (1967), Tutti morimmo a stento (1968), Volume III (1968), Nuvole barocche (1969); quest’ultimo è la raccolta dei 45 giri del periodo Karim esclusi da Tutto Fabrizio De André.
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Gli anni fra il 1968 ed il 1973 furono fra i più proficui per l’autore, che iniziò la serie dei concept con Tutti morimmo a stento, a cui segue La buona novella; un album importante, che riporta il pensiero cristiano nei primitivi confini di un’umana dimensione della fratellanza, in forte contrapposizione con la dottrina di sacralità e verità assoluta, che il cantautore sostiene essere inventata dalla Chiesa al solo scopo di esercizio del potere[7].
Un crescendo creativo che, nel 1971 culminò in Non al denaro, non all’amore né al cielo, libero adattamento (eseguito insieme a Giuseppe Bentivoglio) di alcune poesie della Antologia di Spoon River, opera poetica di Edgar Lee Masters; le musiche sono composte insieme a Nicola Piovani.
Nel 1972 la Produttori Associati, senza consultare l’artista, lo iscrive al Festivalbar con il brano Un chimico (pubblicato su 45 giri): De Andrè apprende la notizia dai giornali e convoca una conferenza stampa in cui dichiara che «La casa discografica mi ha trattato come un ortaggio».
Dopo l’intervento del patron della manifestazione, Vittorio Salvetti, si raggiunge un compromesso: la canzone viene inserita nei juke-box, come vuole il regolamento, ma il cantautore non si esibirà durante la finale di Verona nemmeno in caso di vittoria (l’edizione vede vincitrice Mia Martini con Piccolo uomo)
Nell’autunno dello stesso anno pubblicò un singolo con due canzoni di Leonard Cohen Suzanne/Giovanna d’Arco (brani che verranno poi inseriti con un arrangiamento diverso nell’album Canzoni del 1974).
L’album successivo fu, nel 1973, Storia di un impiegato, disincantata e sofferta trasposizione italiana del Maggio francese e dei conflitti che lo avevano determinato.
Sono anche gli anni in cui De André fa le sue prime esperienze negli spettacoli dal vivo. Lavoratore instancabile e al limite del perfezionismo in studio, Fabrizio non riesce invece ad esibirsi in pubblico. Il suo timore innanzitutto è dovuto al suo problema all’occhio destro, leggermente più chiuso del sinistro, ma anche dalla precedente brutta esperienza televisiva in cui si era dimenticato le parole di una sua canzone e aveva dovuto cantarla in playback. Nel 2006 Francesco Guccini, ospite all’Università di Lettere a Genova, ha ricordato di quando si incontrarono, per via di amici comuni, sulle colline bolognesi e del fatto che Fabrizio, alla richiesta di suonare una sua canzone, avesse preteso di poter cantare con le luci spente. È un atteggiamento questo che ricorda le prime esperienze di Leonard Cohen che incise il suo primo album musicale in uno studio a luci spente e con uno specchio davanti per ricreare l’ambiente della sua camera da letto. La sua casa di produzione discografica comincia a fare delle grosse pressioni perché Fabrizio inizi un tour di concerti per l’Italia e il cantautore – come in seguito ha raccontato all’amico Cesare Romana – si presenta davanti al suo discografico e spara una richiesta di compenso esagerata, al fine di ottenere un netto rifiuto. Ma il produttore accetta senza battere ciglio. In questo modo Fabrizio è costretto ad affrontare le sue paure da palcoscenico, paure che supererà solo con gli anni, suonando e cantando sempre nella penombra e con molto whisky in corpo.
In carriera, De André collaborò anche con Alessandro Gennari alla scrittura del libro Un destino ridicolo – pubblicato nel 1996 e dal quale dodici anni dopo Daniele Costantini ha tratto il film Amore che vieni, amore che vai – ed ebbe modo di lavorare – nella sua attività compositiva – con Riccardo Mannerini, poeta genovese con il quale musicò Eroina (1968) poi diventato Il cantico dei drogati.
A partire dal 1974, De André iniziò nuove collaborazioni con altri musicisti e cantautori: a ciò affiancò anche l’attività concertistica, mai affrontata sino ad allora. Negli anni settanta De André tradusse canzoni di Bob Dylan (Romance in Durango e Desolation Row), Leonard Cohen (“It seems so long ago, Nancy”, “Jeanne D’Arc”, “Famous Blue Raincoat” per la Vanoni e “Suzanne”) e Georges Brassens (lavoro che porterà all’uscita dell’album Canzoni del 1974) e collaborò con altri artisti (su tutti Francesco De Gregori, che lavorò con lui alla scrittura di molti brani dell’album Volume VIII del 1975, album non privo di sperimentazione in cui sono affrontate tematiche esistenziali quali il disagio verso il mondo borghese e la difficoltà di comunicazione); nonostante il suo carattere schivo e poco incline alle apparizioni in pubblico, accettò di esibirsi dal vivo, prima ancora del concerto alla Bussola di Viareggio, a Piazza Navona nel 1974, in occasione di una manifestazione del partito Radicale per il referendum sul divorzio, sconvolgendo migliaia di romani che avevano sognato quel momento per anni, e iniziando poi un tour con due componenti dei New Trolls, con i quali aveva già collaborato nel 1968 per i testi del loro disco Senza orario senza bandiera (Belleno e D’Adamo), e due dei Nuova Idea (Belloni e Usai).
Nel 1979 si esibì insieme alla Premiata Forneria Marconi, che affrontò con successo l’ardua sfida di riarrangiare alcuni dei brani più significativi del grande cantautore genovese, arrangiamenti che Fabrizio utilizzerà fino alla fine della sua carriera. L’operazione si rivelò estremamente positiva, tanto che il tour originò due album interamente live, tra il 1979 ed il 1980, che conobbero uno straordinario successo di vendite.
Rimini (1978), segna l’inizio della collaborazione, che proseguirà proficuamente nel tempo, con il cantautore veronese Massimo Bubola. Quest’album fa intravedere un De André esploratore di una musicalità più distesa, spesso di ispirazione americana, di cui Bubola è portatore. I brani trattano l’attualità (il naufragio di una nave genovese) così come tematiche sociali (l’aborto e l’omosessualità).
Fabrizio De André (1981) è un album senza titolo, noto come L’indiano per il suo disegno in copertina, con Bubola ancora una volta coautore di De André. Il filo che lega i vari brani è il parallelismo tra il popolo dei Pellerossa e quello Sardo, entrambi oppressi dai loro colonizzatori. Il sequestro del cantautore è rievocato nel brano Hotel Supramonte.
Nel 1980 i due cantautori pubblicano un 45 giri intitolato Una storia sbagliata, i cui brani sono editi per la prima volta in CD solo nel 2005. Il disco reca inciso Una storia sbagliata sul lato A e Titti sul lato B, entrambe scritte con Bubola. Fabrizio ricorderà in un’intervista a proposito di questa canzone:
« Nel testo di Una storia sbagliata rievoco la tragica vicenda di Pier Paolo Pasolini. È un canzone su commissione, forse l’unica che mi è stata commissionata. Mi fu chiesta come sigla per due documentari-inchiesta sulle morti di Pasolini e Wilma Montesi. »
Nella seconda metà degli anni ’70, in previsione della nascita della figlia Luisa Vittoria, De André si stabilisce nella tenuta sarda dell’Agnata, a due passi da Tempio Pausania, insieme a Dori Ghezzi, sua compagna dal 1974, poi sposata nel 1989. La sera del 27 agosto 1979, la coppia fu rapita dall’anonima sequestri sarda e tenuta prigioniera nelle montagne di Pattada, per essere liberata dopo quattro mesi (Dori fu liberata il 21 dicembre, Fabrizio il 22), dietro il versamento del riscatto, di circa 550 milioni di lire, in buona parte pagato dal padre Giuseppe.
Intervistato all’indomani della liberazione (il 23 dicembre in casa del fratello Mauro) da uno stuolo di giornalisti, Faber tracciò un racconto pacato dell’esperienza («…ci consentivano, a volte, di rimanere a lungo slegati e senza bende») ed ebbe parole di pietà per i suoi carcerieri («Noi ne siamo venuti fuori, mentre loro non potranno farlo mai»). Questa posizione inconsueta, nel quadro di un invito di De André a ragionare seriamente sulla realtà sociale sarda, attirò critiche feroci di certa stampa che tese a colpevolizzare in modo retorico e sensazionalistico i sequestrati.
L’esperienza del sequestro si aggiunse al già consolidato contatto con la realtà e con la vita della gente sarda, e gli avrebbe ispirato diverse canzoni, scritte ancora con Bubola e raccolte in un album senza titolo, pubblicato nel 1981, comunemente conosciuto come “L’indiano” dall’immagine di copertina che raffigura un nativo americano. Trasparente la similitudine fra il popolo indiano e quello sardo, entrambi, pare sostenere il cantante, rinchiusi in riserve se non altro culturali, entrambi vittime di dominazioni sociali, tanto che arrivò a sostenere il movimento indipendentista sardo[senza fonte] affermando «I sardi, a mio parere, deciderebbero meglio se fossero indipendenti»[senza fonte].
Sottili, ma non velate, furono le allusioni all’esperienza del sequestro: dalla stessa ripresa della locuzione “Hotel Supramonte” (con cui da sempre i sardi chiamavano l’industria dei sequestri) alla descrizione degli improvvisati banditi cui, comunque, non intese negare note di un certo romanticismo ed una connotazione di proletariato periferico che per questo meritava, coerentemente con le sue tematiche privilegiate, una forte attenzione. Al processo, De André confermò il perdono per i suoi carcerieri, ma non per i mandanti perché persone economicamente agiate.
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Nel 1980 incise il singolo Una storia sbagliata/Titti: entrambe le canzoni sono state scritte con Bubola, la prima canzone racconta della morte di Pier Paolo Pasolini, narrata anche attraverso metafore, la seconda è ispirata a un romanzo di Jorge Amado. De André ricordò in un’intervista: «Nel testo di Una storia sbagliata rievoco la tragica vicenda di Pier Paolo Pasolini. E una canzone su commissione, forse l’unica che mi è stata commissionata. Mi fu chiesta come sigla per due documentari-inchiesta sulle morti di Pasolini e di Wilma Montesi».
Altre importanti collaborazioni lo videro impegnato negli anni seguenti con Mauro Pagani – per la realizzazione dell’album Crêuza de mä (1984), un progetto di Pagani che De André arricchisce con i suoi testi e che all’inizio parve un fiasco ma fu in seguito premiato dalla critica come “Album del decennio”.
Crêuza de mä segna uno spartiacque nella carriera del cantautore genovese: dopo questo album, Fabrizio esprime la volontà di non voler più cantare in italiano ma di volersi concentrare esclusivamente sul genovese (che per lui non era un dialetto ma una vera e propria lingua). Ma Crêuza de mä è anche l’album che libera De André dalle impostazioni vocali ereditate dalla tradizione degli chansonniers francesi, che gli garantisce la libertà di espressione tonale al di fuori di quei dettami stilistici che aveva assorbito da Brassens e da Brel.
In seguito, inizia un periodo di crisi artistica che lo porta a formulare ipotesi di collaborazioni che poi non verranno mai realizzate, come la possibilità di un album sulle musiche dell’Europa orientale con Ivano Fossati e Vasco Rossi (il quale, secondo Fabrizio, aveva un lato rock che a lui mancava).
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Da questa crisi riemergerà soltanto nel 1990 incidendo, ancora con Mauro Pagani e con la collaborazione di Ivano Fossati, Le nuvole (1990) titolo che (come in Aristofane) allude ai potenti che oscurano il sole[2]. Con questo album De André torna in parte al suo stile musicale più tipico, affiancandolo alle canzoni in dialetto e all’ispirazione etnica. Torna anche la critica graffiante all’attualità, in particolare ne La Domenica delle Salme e in Don Raffaè.
Fossati sarà presente, inoltre, nella realizzazione del concept album di De André, Anime salve, pubblicato nel (1996). Incentrato sul tema della solitudine, è l’ultimo album in studio del cantautore.
Fu da parte di Pagani un importante lavoro di ricerca, con il quale si rievocò, e per sonorità e per testi, un modus musicale del Mediterraneo genovese, ovvero di quella parte tradizionale, e per questo “sociale”, della cultura della sua città natale. La lingua utilizzata è il genovese, la musica rievoca tradizioni turche, greche e berbere.
Le nuvole (1990) è la summa delle varie collaborazioni di questo periodo (da Mauro Pagani, coautore di tutti i brani, a Ivano Fossati e Massimo Bubola). La struttura de “Le Nuvole” è divisa in due parti: la prima, quella dedicata al potere, è in italiano; la seconda incarna la voce del popolo ed è perciò cantata in dialetto.
Anime Salve (1996), è l’ultimo concept album di De André e, a differenza dei due precedenti, è in gran parte in italiano. La musica è scritta in gran parte da Ivano Fossati, con influenze ritmiche sudamericane, ma eseguite con sonorità della stessa matrice etnica nata con Crêuza de mä.
Fra il 1990 ed il 1996 collabora con vari autori, sia come autore che come cointerprete, nei rispettivi album: tra essi ricordiamo Francesco Baccini, i Tazenda, Mauro Pagani, ancora Massimo Bubola, Max Manfredi, Teresa De Sio, Ricky Gianco, i New Trolls e il figlio Cristiano De André. Da segnalare la collaborazione con “Li Troubaires de Coumboscuro” nell’album A toun souléi, dove De André partecipa all’incisione del brano in provenzale antico Mis amour, insieme a Dori Ghezzi e Franco Mussida.
Nell’estate 1998, durante la tournée del suo ultimo album Anime Salve, gli fu diagnosticato un tumore ai polmoni, che lo portò a interrompere i concerti.
La notte dell’11 gennaio 1999, alle ore 02:30, Fabrizio De André morì all’Istituto dei tumori di Milano, dove era stato ricoverato con l’aggravarsi della malattia.
I suoi funerali si svolsero nella Basilica di Carignano a Genova il 13 gennaio: al dolore della famiglia partecipò una folla di oltre diecimila persone, in cui trovarono posto estimatori, amici ed esponenti dello spettacolo, della politica e della cultura.
Dopo la cremazione, avvenuta il giorno seguente alla cerimonia funebre, venne sepolto nella tomba di famiglia nel cimitero di Staglieno accanto al fratello Mauro, al padre Giuseppe e alla madre Luisa Amerio.
« Io ho avuto per la prima volta il sospetto che quel funerale, di quel tipo, con quell’emozione, con quella partecipazione di tutti non l’avrei mai avuto e a lui l’avrei detto. Gli avrei detto: «Guarda che ho avuto invidia, per la prima volta, di un funerale». »
(Paolo Villaggio – La Storia siamo noi – 4 gennaio 2007 )
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La discografia di De André è ampia, ma non vasta come quella di altri autori del suo tempo; pur tuttavia risulta memorabile per varietà ed intensità. [13] Viene ora sapientemente riassunta in postume ricostruzioni filologiche, curate dalla moglie e da esperti tecnici del suono che si sono riproposti l’obiettivo di mantenere, nei nuovi supporti, le sonorità dei vecchi LP in vinile. Sino ad ora sono state realizzate due raccolte, entrambe in triplo CD, titolate In direzione ostinata e contraria e In direzione ostinata e contraria 2.
De André in concerto nel 1982Alcuni fra i maggiori cantanti e cantautori italiani, nel marzo del 2000, hanno ricordato Fabrizio De André con un concerto celebrativo, al teatro Carlo Felice di Genova, interpretando i suoi maggiori successi. Di quel concerto è stato realizzato un doppio cd, dal titolo Faber, pubblicato nel 2003, i cui proventi sono stati devoluti in beneficenza.
La Premiata Forneria Marconi ha eseguito, e tutt’ora esegue concerti nei quali reinterpreta le canzoni di De André, in cui si ricorda la proficua collaborazione tra il gruppo e il cantautore.
A Genova, in Via del Campo, dove l’intrico di viuzze si fa congestionato come in una Qasba mediorientale, nel negozio di dischi ora gestito dalla moglie di Gianni Tassio (mancato nel 2004), è esposta la chitarra con la quale, probabilmente, De André ha studiato i testi delle canzoni di “Crêuza de mä”. Lo strumento, la “Francisco Esteve” n. 097, venne messo all’asta in favore di Emergency dalla famiglia, poco tempo dopo la sua morte, ed acquistato dai negozianti del capoluogo ligure, dopo una serrata lotta al rialzo con alcuni facoltosi collezionisti. Nonostante la loro proverbiale “tirchieria”, i commercianti Genovesi arrivarono a sborsare 168.500.000 lire, per aggiudicarsi la chitarra di Faber.
Ora il negozio di via del Campo, nei luoghi dove il cantautore avrebbe voluto trascorrere i suoi ultimi anni, si è trasformato in una sorta di museo, e chi vi passa davanti può ascoltare sommessamente le note delle sue canzoni; inoltre, vi si trovano esposte in vetrina le copertine originali di tutti i suoi dischi.
Su iniziativa della moglie Dori Ghezzi e di Fernanda Pivano è nata la Fondazione Fabrizio De Andrè Onlus che si occupa di mantenere viva la memoria del cantautore. Molte sono le iniziative promosse, moltissimi i gesti di stima e di amore che tutta Italia porge ogni anno alla memoria di Fabrizio.
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De André ha spesso usato sonorità di strumenti mediterranei e medievaliTutti morimmo a stento (1968), con temi dark, suicidi, pervertiti, drogati, pedòfili, bambini pazzi, re tristi. Per la prima volta si fa accompagnare da un’orchestra sinfonica, la Philarmonia di Roma, sotto la guida del maestro Gian Piero Reverberi.
Il testo del primo brano, “Cantico dei drogati” è tratto da una poesia di Riccardo Mannerini. Quest’album è il primo concept album ad essere pubblicato in Italia[10]; riceve anche il premio della critica italiana. Il padre, parlando del disco fresco di stampa, afferma: «Ieri guardavano lui e dicevano – è il figlio di De André. Oggi guardano me e dicono – è il padre di De André»
La buona novella (1970), con i testi tratti da alcuni vangeli apocrifi e nel quale suonava il gruppo I Quelli, poi ribattezzato PFM. Il disco è arrangiato dallo stesso Reverberi.
Non al denaro, non all’amore né al cielo (1971), ispirato dalla Antologia di Spoon River, capolavoro di Edgar Lee Masters pubblicato nell’aprile del 1915 e tradotto in Italia da Fernanda Pivano nel 1943. De André in questo disco si avvale della collaborazione di Giuseppe Bentivoglio per i testi e di Nicola Piovani per le musiche. Questo album è stato reinterpretato nel 2005 dal cantante Morgan, rinnovandone in parte l’arrangiamento.
Storia di un impiegato (1973), un altro concept album ispirato agli avvenimenti del Maggio francese ed alla contestazione giovanile del Sessantotto. È uno degli album più intensi e discussi del cantautore . Anche qui risulta la collaborazione con Giuseppe Bentivoglio e con il compositore Nicola Piovani, che figura come coautore delle musiche e degli arrangiamenti
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(liberamente tratta da wikipedia)